“Sine Die”

“Sine Die”

ORNELLA LANERI

Presidente Fondazione OELLE Mediterraneo Antico

Ogni cambiamento epocale è stato segnato dalla nascita di movimenti artistici che hanno impresso quei momenti nella memoria delle comunità.
Segni indelebili che, oggi più che mai, devono essere monito per una rinascita etica della società di governi e imprese.
Visione d’insieme, analisi delle conseguenze, rispetto dell’ambiente dovranno far parte delle nuove strategie socio-economiche e accompagnarci anche quando le mascherine lasceranno spazio a nuovi sguardi e paure.
Sine die è un segno. Grazie ai molti che lo hanno colto rendendolo visibile.

CARMELO NICOSIA

Direttore Fondazione OELLE Mediterraneo Antico

“Sine Die”

Che sottintende, ironicamente, potrebbe non finire mai.

“Sine Die”, avvolge come una nuvola, lo stato vitale di tutti noi poveri diavoli che sino a ieri roteavano come matti, profondamente convinti che le accelerazioni quotidiane potessero fermare il Tempo, come dei Super eroi. Improvvisamente come in un film dell’orrore, re e regine, poveri e ricchi, devono fare i conti con l’imponderabile, quel fastidioso, odioso e impenetrabile stato dell’essere, che tutto rimette in discussione, la paura ci pervade e ciò che fino a ieri era certezza, ora diviene, dramma collettivo. Il Tempo indeterminato nell’era del Corona Virus, assume una connotazione esilarante: diventa pop.
ll Tempo di tutti, un tempo dilatato e spaventoso che obbliga tutti a rivedere ruoli e funzioni degli esseri umani, tutti trascinati dal ritmo dell’informazione/bollettino di guerra asfissiante, che pervade le nostre giornate. La comunità è immersa in una bolla afasica, e passiamo da uno stato liquido ad uno stato gassoso, alla ricerca di un avvistamento, un nemico invisibile, scivoloso e non previsto.
Televisioni, computer, smartphone urlano nelle case e i sacerdoti dello schermo, soldati disarmati, provano disperatamente a creare un ritmo, una liturgia, a definire la storia. Martella incessante un forte richiamo all’unità, ma è troppo tardi poiché l’unità si conquista in tempo di pace. Facciamo il pane e bolliamo l’acqua, come se bastasse per farci perdonare, dalla rivoluzione postindustriale in poi, secoli di idiozia e di distruzione del pianeta.E’ il tempo della narrazione virtuale e ognuno di noi vive la guerra per immagini, che devono raccontare ciò che non si vede, come il silenzio incontenibile. Chiusi nei nostri bunker, aspettiamo una data, un giorno felice, per abbattere l’impossibilità e vincere la sorpresa di essere fragili, essere umani e rimandiamo alla somma scienza la soluzione, una visione corta poiché la scienza pretende il Tempo della ricerca e dei protocolli.
Tutti i leader e gli opinionisti consigliano di impiegare il tempo, ma nessuno professa il “vuoto”, perché anche lo stato di fermo deve essere produttivo; nelle culture orientali ogni stato dell’esistenza inizia dallo svuotamento, dal vuoto attivo, terreno fertile per l’azione futura.
Sine Die fa male perché determina l’impossibilità, la perdita del controllo, paura e smarrimento e su questi temi hanno deciso di mettersi in gioco numerosi fotografi, italiani e non, che hanno sperimentato l’isolamento creativo, producendo opere innovative e coraggiose, esorcizzando con le azioni la pandemia. Fotografi, scrittori, poeti, liberi cittadini, grazie.

MARIO CRESCI

Artista

Questa immagine è tratta da una nuova serie che ha per titolo “Minimun” nata
durante i giorni del corona virus quando stavamo tutti a casa e lo sguardo si posava sulle piccole cose che normalmente non vedevamo o davamo per scontate. Gli oggetti in particolare dentro al nostro spazio quotidiano hanno iniziato ad animarsi, a muoversi, ruotando su se stessi, oppure moltiplicandosi o specchiandosi con altri, oppure essere osservati nella loro forma e materia o nei segni lasciati nei loro spostamenti sulle superfici di altri disposti negli spazi della casa.
Improvvisamente come in un cartone animato, gli oggetti si sono riuniti tra loro e hanno iniziato a dialogare come nuovi e minuscoli abitanti 

usciti allo scoperto finalmente in compagnia della famiglia dei libri da sempre privilegiati e presenti negli scaffali della libreria. Per contrastare e vivere il tempo della pandemia in modo tale da non cedere al dolore e alla paura della morte che ogni giorno qui a Bergamo aleggiava nei suoni delle campane delle chiese e in quelli più taglienti delle sirene delle autoambulanze, ho pensato ai miei piccoli nipoti che vivono in una città lontana come Matera e al modo di comunicare a distanza sul pc per trascorrere un poco di tempo con loro nel ruolo di nonno creativo ancora in grado di stimolare i loro pensieri e i loro sguardi racchiusi giocoforza negli spazi ristretti della loro abitazione.

Fonte: https://www.fondazioneoelle.com/sinedie/


Lo scatto presentato in occasione della Call “Sine Die” organizzata dalla Fondazione Oelle, è un estratto inedito di un progetto composto da 365 foto (Polaroid) dove il protagonista è un giovane del Gambia, Muhamed, che in poco tempo è stato integrato all’interno del nucleo familiare dello stesso autore, con cui da cinque anni condividono importanti momenti di via quotidiana. La documentazione giorno dopo giorno, ci descrive una splendida prassi di integrazione, delineando una storia di crescita individuale e collettiva, che vede come protagonisti il soggetto ripreso e lo stesso autore. In questo caso, lo scatto ritrae uno spaccato della contemporaneità in cui tutti noi ci troviamo a vivere, rielaborando inoltre alcuni dogmi relativi al senso di appartenenza.

Link diretto all’immagine: https://www.fondazioneoelle.com/sinedie/2020/05/20/francesco-di-giovanni/

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